SPID, il TAR abolisce il tetto dei 5 milioni

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Identità digitale
La prima sezione del TAR del Lazio ha annullato il Decreto  del 24/10/2014, pubblicato sulla G.U. n. 285 del 9 dicembre 2014, con cui il Governo aveva istituito il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID).

Il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto le ragioni di di Assintel e Assoprovider, annullando in sede di merito il Decreto ed in particolare l’articolo 10, che stabiliva i requisiti necessari per operare come Identity Provider, in quanto tali oneri – sosteneva l’accusa – costituiscono un ostacolo alla concorrenza, violando i principi di parità di trattamento e di non discriminazione, escludendo di fatto tutte le realtà medio piccole.

In particolare,  nella sentenza si legge: “la previsione, tra i requisiti per l’accreditamento dei gestori dell’identità digitale, del possesso di capitale sociale di 5 milioni di euro non è basata su alcuna percepibile caratteristica tecnica e/o organizzativa del servizio né è ricavabile da alcuna fonte normativa di grado superiore.”

Inoltre, “Il prescritto requisito di capitale sociale pone un limite che non persegue nemmeno una finalità logica, considerato che l’articolo 4 del decreto impugnato, ai commi 2, 3 e 4, prevede che l’Agenzia adotti regolamenti per definire le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello Spid, le modalità di accreditamento dei soggetti Spid, nonché le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello Spid, il rilascio dell’identità digitale: e tali norme integrative già prevedono dei requisiti molto stringenti per l’esercizio dell’attività di identificatore, senza che aggiuntivamente si palesi la necessità di subordinare lo svolgimento della ripetuta attività al raggiungimento di una soglia così elevata di capitale sociale”.

“Il requisito si appalesa dunque sproporzionato rispetto al fine che la norma intende perseguire e, laddove è inoperante per i soggetti pubblici, dà luogo anche ad una indebita discriminazione in favore di questi ultimi, in contraddizione col principio comunitario che impone l’adozione di regole finalizzate a non trattare in modo diverso situazioni analoghe, a meno che non ricorrano situazioni oggettive che giustifichino siffatta diversità, che nella specie restano indimostrate”.

“Per completezza di analisi si soggiunge che l’applicazione della nuova disciplina provocherebbe, necessariamente, effetti distorsivi del mercato, cagionando una rarefazione della concorrenza nel settore de quo che avvantaggerebbe direttamente i soggetti pubblici, esclusi dal rispetto del requisito in esame, e sottrarrebbe ampie e innovative aree di attività economiche all’iniziativa economica imprenditoriale privata, in contrasto con la finalità di massima apertura del mercato che costituisce essenza dell’ordinamento comunitario”.

Resta ora da vedere cosa farà il Governo: potrebbe infatti decidere di tenere il decreto così com’è, tolte ovviamente le parti che il TAR ha considerato illegittime, oppure riscrivere interamente la norma.

Fonte:
Tar Lazio, Roma, sez. I, sentenza 21 luglio 2015 n. 2833 sul sito “Giustizia Amministrativa”

N.B. Nella giornata odierna il sito www.giustizia-amministrativa.it sta subendo rallentamenti e il link potrebbe non funzionare.

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