Dalla sentenza di condanna a Google alla notizia relativa al gruppo su Facebook contro i bambini Down, alcune considerazioni sulla tutela della privacy online |
Ha creato molto scalpore la sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato in primo grado tre dirigenti di Google per violazione della privacy: per non avere impedito la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da sindrome di Down insultato e picchiato.
Il video, girato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino nel maggio 2006, era stato caricato su Google Video l’8 settembre, dove rimase tra i più cliccati e contrassegnato come uno dei “video più divertenti” fino al 7 novembre, prima di essere rimosso.
I giudici hanno ritenuto che i trattamenti dei dati personali effettuati su server collocati all’estero e sotto la responsabilità di Google Inc. e, dunque, di un soggetto di diritto straniero, ricadano nell’ambito di applicazione della disciplina italiana sulla privacy.
Una condanna che costituisce l’unico caso nel mondo e che non ha mancato di suscitare molte polemiche in quanto da più parti è stata vista come un attacco alla libertà della rete.
Altro episodio di cui si è molto parlato è il gruppo su Facebook “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”, a cui la stampa ha dato un particolare risalto. In realtà i gruppi offensivi, contro donne, bambini e così via, nascono e muoiono continuamente sul social network e, a giudicare dai numerosi iscritti, sembrano avere un gran seguito. Andando però a verificare chi sono e cosa scrivono i membri, è facile constatare come quasi tutti si iscrivano solo per poter lasciare in bacheca la loro protesta contro il gruppo stesso. Una reazione comprensibile, ma da evitare per non fare il gioco stesso dei fondatori, che provano soddisfazione nel veder raccolte le loro provocazioni.
Il Garante della privacy, dando notizia dell’oscuramento del gruppo, è intervenuto in merito alla pubblicazione, da parte di alcune testate, della foto raffigurante un neonato con una scritta ingiuriosa sulla fronte. L’immagine, già presente sul gruppo oscurato, è stata pubblicata infatti senza l’adozione di accorgimenti che la rendessero anonima, benché in un contesto di generale riprovazione per quanto accaduto.
Il video pubblicato su Google e il gruppo contro i bambini Down rappresentano due facce della stessa medaglia, non solo perché hanno ad oggetto la dignità di bambini che meritano una particolare tutela, ma perché costituiscono due esempi di utilizzo distorto della rete. Internet ha costituito infatti una grande rivoluzione democratica, consentendo a tutti di produrre e diffondere informazioni in tempo reale, ma lo strumento si presta a utilizzi anche patologici, che sono però destinati a venire corretti dal sistema stesso. Facebook, ad esempio, consente agli utenti di segnalare gruppi, pagine o messaggi offensivi che in questo modo vengono controllati ed eventualmente cancellati.
La pubblicazione su internet è un argomento sempre delicato in merito all’imputazione di responsabilità e alla tutela della privacy. Di certo non è il mezzo che può essere messo sotto accusa in quanto ciascuno è responsabile dei contenuti che immette in rete ed un controllo preventivo è impossibile da attuare, vista la mole di informazioni. E’ comunque opportuno che chi offre la possibilità di pubblicare online si occupi di disciplinare tutti gli aspetti inerenti l’organizzazione redazionale, la privacy e il rispetto della legge sul diritto d’autore.
E’ inoltre fondamentale la previsione di strumenti che consentano agli utenti di segnalare gli abusi, insieme alla predisposizione di meccanismi di controllo che si attivino immediatamente in seguito alle segnalazioni: in questo senso si può davvero parlare di un meccanismo di autoriparazione del web, che vede protagonisti utenti e fornitori di servizi online.
di Annalisa Collacciani
SI.net, tramite il suo profilo su Twitter, riporta puntualmente articoli e interventi relativi alle problematiche sulla privacy.
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