Il 1 gennaio 2022 diverranno pienamente esecutive le Linee Guida AgID sul documento informatico. La corretta conservazione, anche e soprattutto verso i Poli di conservazione, passerà quindi dal perseguimento degli obblighi che tale scadenza porta con sé.
Lo scorso giugno 2021 AgID ha rilasciato il documento “Progetto Poli di conservazione: definizione di un modello di riferimento per i Poli di Conservazione e della relativa rete nazionale”. Tale documento contiene le indicazioni che il gruppo di lavoro istituito proprio dall’Agenzia per l’Italia Digitale ha composto al fine di definire una rete di conservatori interoperabili tra loro.
I poli di conservazione sono previsti e definiti sin dal Piano triennale per l’informatica del 2017-2019. Nella versione del piano triennale 2019-21 veniva ribadito, in una prospettiva in cui la gestione dei documenti per la PA sarebbe stata completamente in digitale, il sorgere sempre più rilevante della necessità di ricorrere a sistemi di conservazione in grado di garantire l’autenticità dei documenti e la loro accessibilità a lungo termine.
Al fine di assicurare tale livello di conservazione[1] le PA hanno la possibilità di rivolgersi ai Poli di conservazione, cioè a quei Poli Strategici Nazionali che svolgono anche funzioni di conservazione. Nel dettaglio, un polo di conservazione si configura come uno o più soggetti che, ai fini della conservazione secondo le norme vigenti, condividono o forniscono in collaborazione risorse organizzative, procedurali, strumentali, tecnologiche, economiche ed umane a favore di enti e amministrazioni pubbliche responsabili della produzione, della conservazione e riutilizzo futuro di documenti e archivi.
La parola d’ordine che nel piano triennale risuona in tutti gli item presi in considerazione è l’interoperabilità tra i diversi sistemi. Il documento di pianificazione che AgiD ha presentato a giugno 2021 si inserisce in questo discorso cercando proprio di fissare quelle regole di intercambio per l’interoperabilità di cui si è detto.
Nello specifico, oltre a dare un quadro teorico di riferimento rispetto ai temi della conservazione (si distinguono ad esempio le finalità della conservazione a breve e a medio termine e quella a lungo temine o permanente) il documento presenta 8 schede sintetiche, ognuna tarata sugli stessi 12 campi, al fine di descrivere le concrete esperienze dei servizi di conservazione offerti dagli enti che hanno partecipato al gruppo di lavoro
Noi sappiamo che il Codice dei beni culturali (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i.) definisce quali beni culturali tutti “gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico” ed obbliga gli enti pubblici a conservare i propri archivi nella loro organicità e di ordinarli (art. 30, comma 4).
In particolare il significato del termine “ordinare” deve essere declinato secondo due aspetti: obbliga a predisporre mezzi e procedure perché l’archivio corrente nasca ordinato, e dunque ci siano procedure per la corretta formazione ed aggregazione dei documenti e per l’altro aspetto impone di ordinare l’archivio già esistente ove si trovi in stato di disordine.
In particolare, deve essere garantito un accesso gratuito per finalità di lettura, studio e ricerca, soprattutto per scopi storici.
Tutto quanto detto vale a prescindere dalla forma e dal supporto dei documenti, e quindi ha pieno valore anche a fronte dei documenti informatici.
Per i conservatori o i poli di conservazione diventa quindi necessario rapportarsi con le logiche di accesso e consultabilità per finalità di studio e di ricerca. In questa prospettiva il sistema di conservazione dovrà sempre più offrire idonee funzionalità per soddisfare le richieste di consultazione e di esibizione in primo luogo dei soggetti produttori, cioè degli enti titolari della documentazione, e, in futuro, dei cittadini, studiosi e altri portatori d’interesse.
Lo stato dell’arte della conservazione digitale tuttavia non è in grado, in tutta evidenza, di dare adeguate garanzie rispetto a tali finalità. Il documento di AgID sottolinea come, in primis le strade seguite dai diversi enti non siano state omogenee. In particolare, in alcuni casi l’invio in conservazione ha avuto ad oggetto un numero assai ridotto di documenti e perlopiù dotati solo dei dati di registrazione di protocollazione. In altri casi, invece, i soggetti produttori hanno scelto di trasferire in conservatoria tutti i documenti informatici prodotti. Nella maggior parte dei casi gli oggetti così inviati non risultano tuttavia corredati dei metadati relativi alle aggregazioni documentarie di appartenenza o, addirittura, dello stesso indice di classificazione.
Da tenersi in considerazione infine vi è inoltre la difficoltà di allineare con la conservazione le inevitabili modifiche di metadati dovute per esempio a interventi di annullamento della registrazione di protocollo o alla successiva ridefinizione delle informazioni di classificazione e di aggregazione fatte all’interno dei protocolli informatici degli enti.
Per la costituzione di un modello di conservazione diviene importante riconoscere il fatto che gli inevitabili fenomeni di obsolescenza tecnologica non consentono di focalizzare lo sforzo per la conservazione sul controllo indefinito del flusso originale di bit. A fronte di tale riconoscimento, è perciò oggi necessario dare rilevanza ai poli di conservazione in grado di garantire la conservazione in termini di qualità organizzativa, di infrastrutture, di personale competente, di procedure e regolamentazione interna.
Il modello da perseguire sarà necessariamente basato su criteri di custodia attiva che in alcuni casi non potrà non implicare modifiche ai bit originari trasformando di fatto e inevitabilmente la conservazione di documenti originali in conservazione di copie autentiche dei documenti e delle loro componenti, la cui conformità all’originale dovrà essere debitamente attestata.
Per fare ciò si dovrà inoltre garantire il soddisfacimento del requisito funzionale per cui la conservazione non dovrà essere incentrata sui singoli documenti digitali ma sulle loro aggregazioni e sulle relazioni stabili che le definiscono (quali fascicoli e serie digitali). Secondo quanto citato anche in precedenza, le informazioni riferite a tali aggregazioni dovranno dunque poter essere inviate al sistema anche con tempistiche differenti rispetto all’invio del documento o dell’oggetto di conservazione.
Occorre cioè che i Poli di conservazione offrano servizi che preservino sul lungo periodo i caratteri essenziali della documentazione e, concretamente, occorre che siano in grado di preservare gli archivi così come si vengono articolando all’interno dei sistemi di gestione documentale, gestendo le strutture di metadati attraverso le quali vengono registrati tali informazioni.
Da quanto detto diventa quindi sempre più impellente che tutti gli enti pubblici produttori di documenti siano in grado di allinearsi rispetto alle esigenze definite per una corretta gestione dei documenti.
L’attività di fascicolazione rappresenta dunque un aspetto essenziale della gestione, non solo perché definita quale obbligatoria da tutta la normativa di riferimento e compresa nei criteri che possono portare ad una sanzione secondo il neonato articolo 18-bis del Codice dell’Amministrazione Digitale, ma, e soprattutto, perché i fascicoli si configurano come elementi necessari all’interno dei modelli di conservazione descritti.
[1] Sempre rifacendoci al piano triennale 19-21, la conservazione a lungo termine viene definita come quella conservazione finalizzata a mantenere la memoria storica. Nel “Progetto Poli di Conservazione”, la conservazione digitale e i suoi processi realizzativi vengono invece definiti come un insieme coerente di politiche, funzioni, procedure e tecnologie garantite dall’osservanza di standard di qualità, di criteri di trasparenza e di regole di sicurezza, il cui scopo ultimo è il mantenimento nel tempo dell’autenticità dei documenti e degli archivi e della possibilità di continuare ad accedervi nel tempo.
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